ESTRATTO: Take

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“TAKE”
di Aura Conte e Connie Furnari

Genere: Music Romance/Humour/Estate
Disponibile su Amazon e Kindle Unlimited: https://amzn.to/3SoR0E3

© Copyright 2022 Aura Conte – Tutti i diritti riservati.

****************

CAPITOLO 1

Santorini, Grecia.

Secondo Platone, questo luogo era niente poco di meno che Atlantide, poi distrutta dall’eruzione di un vulcano e ovviamente, da un’invasione di nemici.

Un’isola quindi da una storia incredibile, in grado di cambiarti la vita.

Dalle case bianche e i tetti blu, dalle splendide spiagge con tramonti mozzafiato e strade ripide da farti imprecare.

Un luogo magico, per tanti visitatori e greci.

E adesso, ce l’ho davanti ai miei occhi, mentre il profumo di salsedine mi giunge dritto al cervello insieme al calore del sole in picchiata di mezzogiorno.

Il traghetto sta per attraccare e su di questo, mi trovo io.

Giulia Rinaldi… meglio conosciuta come DJ Stream G. con al seguito un bel po’ d’ansia e completamente sola.

Per il prossimo mese, in questo posto meraviglioso, renderò omaggio con la mia musica all’unica botta di culo della mia vita.

Non posso censurarmi, mi dispiace.

Alle volte, non è semplice fortuna ma culo e bisogna ammetterlo.

Ero alla console in attesa che un mio collega di lavoro mi desse il cambio, a una delle tante serate organizzate per noi studenti dell’università e poi, di colpo, un rumore a pochi passi da me mi ha fatta trasalire fino a fermare la musica.

Un attimo dopo, un urlo di dolore.

Non mio, ovviamente.

Completamente ubriaco, il mio amico e mentore, Dario, aveva mancato un paio di scalini mentre saliva sul palco e questo lo aveva fatto cadere nel peggiore dei modi.

Risultato? Una corsa in ospedale, un braccio rotto in tre punti e sessanta giorni di fermo.

La conseguenza? I suoi ingaggi estivi sono passati tutti a me… compreso questo, a Santorini.

Una sfortuna per lui ma una grandissima occasione per me.

Visto? Botta di culo, altro che comune fortuna!

«Resta calma G. Non esaltarti dopo cinque minuti sull’isola» ripeto a me stessa a bassissima voce, mentre centinaia di turisti si muovono intorno a me al porticciolo di Athinios per lasciare il traghetto.

Non devo gioire delle disgrazie altrui… non devo pensare che questa potrebbe essere la mia grande chance per farmi notare come DJ! Devo vivere quest’occasione come una vacanza.

«Ce la posso fare!» dichiaro, stringendo contemporaneamente il manico del mio trolley e della mia borsa. Dove tengo tutto il mio mondo.

Compio alcuni passi e mi guardo intorno, sperando di notare qualche italiano o inglese, al quale chiedere informazioni.

Alloggerò qui per quattro settimane, mi hanno detto che avrebbero inviato qualcuno a prendermi, ma non vedo nessuno e non ho idea di come raggiungere il B&B Petrakis.

Il greco non è esattamente una lingua facile da parlare…

Inizio così a camminare e a superare la zona degli sbarchi, poi, mi inoltro maggiormente fino a raggiungere un bar ma anche qui non trovo nessuno che possa aiutarmi.

«Okay, G. è tempo di sfruttare questo colpo di fortuna…» dico a me stessa, sfilando dalla borsa il mio cellulare per controllare la mappa dell’isola e la location del B&B.

Lo accendo e per mia enorme sfiga, la linea sembra inesistente. Continuo ad aggiornare ma nulla da fare. La mappa non riesce a caricarsi.

Bene, vorrà dire che improvviserò, cosa potrà mai capitarmi di male?

Dieci minuti dopo, il mio trolley si apre e per poco tutta la mia biancheria intima non si sparpaglia per strada. La suola di una delle mie sneakers si stacca e per poco non vengo investita da un motorino.

Tutto, ovviamente, oltre a essermi persa.

Dove cazzo sono?

«Merda!» mi lamento.

Mi avvicino quindi al bancone del bar che si sporge sulla parte esterna e cerco di attirare l’attenzione di una delle bariste.

Speriamo che parli inglese…

» biascico a fatica e dopo averlo ripetuto più volte, la ragazza dinanzi a me riesce a capire.

Mi raggiunge quindi in strada per aiutarmi.

Qualche secondo dopo un’assurda conversazione, la sento urlare a squarciagola nella direzione opposta alla quale ci troviamo.

Nella frase, credo di distinguere un nome ma non ci scommetterei un centesimo.

Un signore senza capelli con una t-shirt celeste ripete la stessa frase verso qualcuno che si trova superato l’incrocio.

Non so cosa stia accadendo, ma spero che stiano trovando un modo per farmi raggiungere il B&B. Sono pronta anche a un passaggio di fortuna.

Anche su uno dei famosi taxi-asini che ho visto nei video online dedicati a Santorini.

Tuttavia, poi, lo vedo… e non è decisamente un asino!

Un ragazzo di circa un metro e ottanta, la carnagione scura e i capelli riccioluti si avvicina verso di me.

È il classico bel ragazzo mediterraneo con i muscoli in bella vista.

La barista farfuglia qualcosa e lui mi guarda divertito, intanto che ci raggiunge.

Sposto il mio sguardo su di lei, con indignazione. Cosa gli sta dicendo? Perché sta ridendo di me?

Sono pronta a risponderle in inglese ma vengo bloccata da lui.

Il dio greco.

«Tutto bene?» mi domanda in italiano con una forte cadenza greca. La sua voce è rassicurante ma fino a un certo punto.

«Non molto.»

«Sono Nikolaos Petrakis, figlio signora B&B Petrakis» si presenta, facendomi sgranare gli occhi. «Puoi chiamarmi Nik, come fanno tutti.»

Dovrò dividere lo stesso tetto con lui? Mi domando immediatamente, squadrandolo da capo a piedi.

Rimango in silenzio per qualche istante e senza volerlo, annuisco mordendomi le labbra.

La barista si allontana, salutandoci di fretta per colpa dell’arrivo di nuovi clienti e restiamo soli, a fissarci.

«Sei italiano?» chiedo, incuriosita dal fatto che mi abbia risposto nella mia lingua madre.

«No, no» risponde, dandomi una mano con le valigie.

Ci muoviamo in direzione di dove si trovava fino a pochi attimi fa e raggiungiamo una sorta di piccola auto scoperta per turisti, con tanto di cartello con scritto B&B Petrakis.

Visti i viottoli e le zone raggiungibili solo a piedi, non sono poi tanto sorpresa delle sue dimensioni. Da quel che so, in quest’isola c’è da camminare e parecchio!

Cavolo, non l’avrei mai vista! Stavo andando esattamente nella direzione opposta!

Mi accomodo così al fianco del giovane Petrakis e lui mette in moto.

«Parli italiano?»

«Così, così» replica, facendo il classico gesto con la mano. «Ho lavorato da voi sei mesi, a Roma».

Ah, diamine… e io dov’ero in quel periodo?

Come ho fatto a perdermi questo vero macho in giro per la mia città?

«Perché a Santorini?» mi domanda, rallentando per far passare alcuni scooter.

Mi guarda con un sorriso appena accennato ma molto dolce.

«Lavoro. Sono stata ingaggiata per un mese allo Shoot Club, lo conosci?» replico a mia volta.

«Ah! Una ragazza DJ!» ribatte sorridendomi, stavolta.

«Eh, già… Stream G.» sussurro, indicando me stessa con un dito.

Perché ho la vaga sensazione che voglia provarci con me?

«Shoot Club è vicino al B&B Petrakis. Mamá lo odia. Musica… tum, tum, tum» mi rivela.

Eppure, non si è creata problemi a fare una convenzione con noi impiegati estivi che non siamo dell’isola.

Furba la signora Petrakis… ha deciso di sfruttare la sofferenza in suo favore. Chissà quante me ne dirà, quando ascolterà la mia musica a tutto volume dal suo B&B!

«Tu famous

«Io? Magari!» esclamo, ridendo. «Non sono famosa, sono qui per sostituire un amico. Sono una normalissima studentessa universitaria che cerca di pagarsi gli studi. Se fossi famosa, mi troveresti distesa al sole su uno yacht, come quelli lì, non a lavorare!» scherzo, puntando il dito verso un mostro gigante della nautica fermo in mare, con tanto di scivolo gonfiabile color oro e seconda barca per raggiungere la riva.

Il proprietario deve essere un milionario, uno sceicco o qualcuno del genere. Di certo, è eccentrico. Chi cavolo comprerebbe qualcosa del genere?

Nik trattiene a fatica una risata e vista la sua reazione, mi domando esattamente cosa e quanto abbia capito della mia risposta.

Sposto lo sguardo su di lui e quando trovo il suo, sfodera un meraviglioso sorriso.

«Bellissima, in bikini… con champagne» replica e poi mi fa l’occhiolino.

In un attimo, i miei dubbi vengono messi da parte.

Eh, sì… ci sta decisamente provando.

Per cambiare argomento e non apparire imbarazzata, riprendo quindi il discorso di poco prima.

«Mi piacerebbe diventare famosa grazie alla mia musica… ma sai come va il mondo. Diventare un DJ famoso è complicato. In più, ci sono pochissime ragazze che fanno questo mestiere con tanto di fama internazionale» dichiaro con tanta amarezza.

«Tu sei brava?»

«Me la cavo… quindi, è meglio continuare a studiare, così da avere anche un lavoro vero!» rispondo divertita e riesco a strappare un altro sorriso a Nik.

Sono abbastanza certa che qui sull’isola avrà file di ragazze che gli vanno dietro.

Voglio essere una delle tante?

Uhm…

Dopo qualche minuto, intravedo in lontananza la piccola e caratteristica insegna in pietra del B&B Petrakis.

È come lo avevo visto su Internet, fortunatamente.

Si tratta infatti di un edificio dai muri bianchi e dai tetti blu, esattamente come tutti quelli di questa zona.

Fuori da questo, ci sono due bellissime piante d’oleandro dai fiori fucsia. Un vero colpo d’occhio.

L’istinto di scattare una foto è forte ma mi fermo, non voglio farlo di fronte a Nik. Nemmeno fossi una turista esaltata per ogni piccolo dettaglio.

Aspetterò di essere sola e nel frattempo, mi godrò questo luogo talmente magico da sembrare la cartolina di un negozio di souvenir.

L’auto si ferma poco prima del cancello principale e Nik è il primo ad abbandonarla di noi due, così da portare dentro il mio trolley.

Compie questo gesto con estrema gentilezza e senza distogliere troppo l’attenzione da me.

Mi avvicino a lui, sorridendogli.

Ok, sì… stiamo decisamente flirtando.

Tuttavia, prima di poter domandargli se sia libero domani, così da accompagnarmi allo Shoot Club e chiacchierare un po’, veniamo bruscamente interrotti.

«Nik!» strilla come per rimproverarlo qualcuno poco lontano da noi.

Sobbalzo all’istante e controllo dietro di me.

Nel farlo, incrocio uno sguardo severissimo.

Una donna di circa settant’anni ci sta fissando come se volesse strangolarci.

Indossa un abito scuro, sebbene faccia caldissimo e certi colori attirano ancora di più i raggi solari. I suoi capelli neri e riccioluti sono raccolti in uno chignon e, al collo, ha legato un ciondolo a forma di croce.

Non uno di quelli piccoli, ma da dodici centimetri circa.

«Mamà» saluta Nik.

«Hello, I am Giulia Rinaldi…» accenno ma una mano alzata all’improvviso davanti ai miei occhi mi ferma dal continuare.

«I know» sussurra la signora Petrakis… controllandomi da capo a piedi e soffermandosi su come io sia vestita.

Ho indosso una camicia di lino bianca e un paio di shorts di jeans molto corti. Un abbigliamento da isola.

Suo figlio le dice qualcosa in greco come per rimproverarla.

Effettivamente, non si è nemmeno degnata di salutarmi o presentarsi.

«You, trouble!» aggiunge poi, guardandomi male.

Ah, andiamo bene… sono finita nel Medioevo!

Sono pronta a risponderle ma vengo frenata un’altra volta.

“Nik, tachýs!” afferma, rivolgendosi al figlio. Poi, passa a me. “Your room, here!”

Indica da qualche parte nell’edificio alle sue spalle e inizia a camminare spedita per raggiungerlo.

Osservo Nik compiere lo stesso gesto e seguo entrambi.

Entriamo dentro l’abitazione, fino a giungere davanti alla porta di una camera da letto con una grande finestra sul mare.

Suppongo sia la mia, visto come è ordinata.

Lei mi guarda e sbuffa.

Siamo certi che Nik sia suo figlio? Sono così diversi! Finora, lui è stato così gentile e rilassato con me.

Sua madre, invece… no.

Avrebbe avuto una reazione diversa, se al posto mio ci fosse stato Dario? Un ragazzo?

«Nik, metafrázo!» ordina, spostando poi lo sguardo su di me.

Inizia così a farfugliare diverse frasi in greco e suo figlio trattiene spesso una risata.

«Mia mamà dice: no ragazzi qui, no sesso. No rumori dopo le…» mi spiega, indicando il numero dieci con le mani. «No cibo in camera, solo acqua.»

«Va bene» replico subito. «Io torno tardi la sera, cercherò di non fare rumore.»

Lui le traduce la mia frase e lei annuisce con uno strano cipiglio.

Cavolo, suo figlio non scherzava quando mi ha detto che odiava il nuovo club.

Dopodiché, scambiano una breve discussione e nel mezzo, la sento più volte lamentarsi, pronunciando il mio nome.

Punta inoltre il dito sul petto di Nik, come se gli stesse ordinando qualcosa.

In risposta, lui fissa me con fare complice e poi, le dice qualcosa.

Lei si infuria ancora di più e pur di non ascoltare la loro conversazione, faccio alcuni passi in avanti ed entro nella mia camera con il trolley al seguito.

Nik mi saluta con la mano e chiude la porta, deve aver capito le mie intenzioni.

Sento i due litigare a bassa voce per diversi minuti, mentre si allontanano.

Non so perché la signora Petrakis sia così infuriata con il figlio ma visto il suo comportamento, lo posso intuire.

Viste le regole, di certo non vuole che una delle ospiti si metta a flirtare con Nik.

Mi avvicino così alla finestra e osservo il panorama. Tanti tetti blu si trovano al di sotto del B&B, insieme a viottoli e scalinate. Poi, poco più avanti alla mia sinistra, intravedo un edificio che sembra una villa con piscina.

«Uguale alle foto» mormoro tra me.

Si tratta dello Shoot Club… e da dopodomani, sarà la mia chance per diventare famosa.


CAPITOLO 2

VINCENT

***

Le nuvole viste dall’oblò di un aereo sembrano sempre uguali. Un tappeto bianco e impalpabile, che ci avvolge. Anche sul proprio jet personale, è lo stesso.

Mi sporgo, mentre sono seduto sul divano, in quello che sembra un vero soggiorno, all’interno del mio aereo. Riservato ovviamente.

Il mio agente e i miei collaboratori viaggiano sempre separati da me: non voglio nessuno a rompermi le palle. Almeno per qualche ora, mi piace godermi la pace.

Fortunatamente, oggi sono solo.

Accendo una sigaretta, prendendo una Marlboro dal pacchetto sopra il tavolino.

Prima bevo un altro sorso di whiskey.

Per questo motivo evito che Frank Kramer, il mio agente, viaggi con me.

Lui vuole che mi comporti bene, che non faccia colpi di testa. Sa che è fatica sprecata.

Una delle hostess passa e mi sculetta davanti:

«Tutto a posto, signor Hill?»

«Se ci fossi tu a farmi compagnia, bambola… andrebbe ancora meglio.»

La tiro a me, lei si ritrova sulle mie gambe, col culo per aria… quel culo meraviglioso che comincio a palpare. Un’altra hostess ci raggiunge e devo ricompormi.

La ragazza scappa via, arrossendo.

In mente ho una sola cosa: scoparmela nel cesso di questo aereo, in piedi. Sentirla aggrappata a me, mentre divarica le cosce.

«Vuole qualcos’altro?» mi chiede l’altra hostess.

«Sì, qualcosa da mangiare. Preparatemi un hamburger.»

La ragazza annuisce e va via.

Sono obbligate a soddisfare ogni mio desiderio. Io sono Vincent Hill, meglio conosciuto come Phoenix, il cantante rapper di New York City più in voga al momento.

Milioni di followers su Instagram, richiesto per concerti e serate, amato dalle donne e perfino dalle ragazzine. Da bambino, non avrei mai creduto che a soli venticinque anni sarei diventato uno dei cantanti più richiesti d’America.

Mentre sorvoliamo la Grecia, preparandoci ad atterrare a Santorini, ripenso al passato, come mi capita di fare a volte.

Sono nato proprio a Phoenix, in Arizona. La mia fortuna è stata cominciare a cantare da ragazzino, strimpellando con la chitarra, ogni volta che i miei genitori litigavano.

Il che avveniva spesso.

Fino al giorno in cui mio padre ci ha lasciati. Mia madre, italiana emigrata da bambina con la sua famiglia, non mi ha mai fatto mancare nulla.

E quando a diciotto anni le ho detto che dopo il liceo non sarei andato al college, per diventare un cantante, lei mi ha appoggiato.

Adesso è morta. Un male incurabile se l’è portata via, cinque anni fa.

Quella notte, mentre capivo di essere solo al mondo, ho scritto una canzone dedicandola a lei, una canzone rap, come è nel mio stile, che parlava d’amore e di perdita.

Ho cominciato a cantare in giro per locali, lavorando come cameriere per mantenermi… finché una sera, in un pub, un uomo mi si è avvicinato.

«Frank Kramer» si è presentato, stringendomi la mano. «Potresti diventare una star, ragazzo. Ti serve soltanto un agente. E io faccio proprio al caso tuo.»

A primo impatto, Kramer mi aveva dato l’idea del viscido sciacallo, con la sua pancia prominente e la testa pelata. Portava un cappello stile anni Cinquanta.

Ma non avevo nulla da perdere, così firmai quel contratto senza neppure pensarci, quella sera stessa.

In pochi mesi, con poche canzoni e molto marketing, Kramer mi fece diventare uno dei rapper più conosciuti d’America.

Le mie canzoni parlavano tutte di sesso. Anche adesso non riesco a scrivere altro.

«Ti serve un nome» mi disse Kramer prima che tutto iniziasse. «Un nome da rapper…»

«Phoenix» risposi senza indugio. La città in cui ero nato, la città in cui avevo vissuto con mia madre.

Non esisteva nome più adatto.

Così come una fenice, sarei risorto dalle mie stesse ceneri.

Dagli altoparlanti mi fanno sapere che stiamo per atterrare. Allaccio la cintura e subisco qualche scossone, ma va tutto come previsto.

Non è la prima volta che vengo in Grecia.

Ho fatto tour anche in Giappone e in Inghilterra. Sono molto richiesto e ne vado fiero.

Kramer tiene molto al mio culo, perché io sono la sua gallina dalle uova d’oro. Era un agente qualunque, con me ha spaccato di brutto. Veniamo intervistati alla televisione e alla radio.

Le donne mi adorano, per i ragazzi sono un modello. Il mio gesto plateale li ha conquistati fin dal primo giorno che sono salito sul palco: mi sono afferrato il cazzo con una mano e ho stretto forte.

Ero eccitato, a causa dell’adrenalina. Prima avevo anche bevuto parecchio.

Il mio agente, ovviamente si è incazzato a morte con me.

Da quel giorno faccio tutto quello che mi pare quando canto e a lui non va giù: questa è la causa delle nostre continue liti.

Kramer vorrebbe per me un’immagine più pulita, ma io me ne fotto.

Le mie canzoni parlano di odio, di vendette, di figa, di scopate… e devo valorizzarle.

La porta del jet si apre poco dopo l’atterraggio e scendo per le scale, con la mia solita aria da spaccone.

Ci sono diverse Smart nere con i finestrini oscurati ad aspettarci. Di solito, vengono a prendermi con delle BMW o delle Hammer, ma qui sull’isola non c’è molta scelta per colpa delle tante strade strette. O questo o una moto.

Tutto il resto è per la mia sicurezza. Il mio team teme l’assalto dei fans.

«Benvenuto in Grecia, Mr. Hill» mi saluta uno dei leccapiedi che devono provvedere alla mia persona. Fa un caldo boia, io sono in canotta e jeans strappati alle ginocchia, lui è in giacca e cravatta.

Dietro le sue spalle ci sono altri due uomini, con gli occhiali da sole, completo scuro, e auricolare all’orecchio.

«Sono le mie guardie del corpo?» immagino.

Lui annuisce. «Io sono Kyros Karalis, addetto alla sua sicurezza personale, e a soddisfare ogni suo bisogno.»

«Piacere» gli stringo la mano. Che cazzo di nome.

Il signor Karalis fa cenno ai bodyguard e mi lasciano salire in auto.

Appena dentro, mi sento soffocare. Quanto prima fuggirò per andarmene al mare: se pensano di potermi tenere segregato fin quando non avrò finito il tour, si sbagliano di grosso.

Il mio iPhone suona e lo prendo dalla tasca posteriore dei jeans. Riconosco subito la suoneria. È Kramer, il mio agente.

«Frank…» rispondo al telefono.

«Ho saputo che sei arrivato, Vincent. Troverai i bagagli già sistemati nell’hotel, l’Excelsior. Ti ho fatto dare una suite reale.» Prende fiato. «Io arriverò domani, il tempo di sbrigare alcune cose e di preparare le conferenze stampa. Nel frattempo… evita di fare le tue solite stronzate. Ne ho abbastanza di vederti sui giornali con la bionda di turno.»

«Non rompermi i coglioni» è la mia risposta.

Di certo, si sta riferendo a Charlene, la mia ultima ex ufficiale, che lo ha fatto impazzire più di una volta.

Chiudo la telefonata e spengo il telefono.

Mancano tre giorni al mio primo concerto, quindi ho tempo di divertirmi e di riposarmi.

Sono stanco del mio agente e dei suoi continui rimproveri, stavolta voglio godermela per bene. Andare con più donne possibili.

Non voglio niente di serio, come sempre.

Voglio soltanto scopare.

La macchina arriva all’hotel, che è sulla spiaggia. Una vista spettacolare. Da lontano intravedo i turisti che fanno il bagno e si divertono sulle dune.

Le strade sono come un labirinto, si intersecano l’una con l’altra, e le case sono bianche, un bianco accecante che spicca tra l’azzurro del cielo e il blu del mare che circonda ogni cosa.

Per ingannare la stampa, abbiamo comunicato che sarei arrivato domani.

Meglio evitare i paparazzi e i fans, visto che voglio godermi quei due giorni liberi che mi restano. Domani arriverà Kramer e assaliranno lui: rimarranno sorpresi nel constatare che io non ci sono.

Di solito usiamo questi stratagemmi, perché le ragazzine non mi lasciano in pace, e mi aspettano agli aeroporti.

«La sua suite è pronta» mi fa sapere Karalis.

«Ottimo» esco dalla macchina.

L’hotel è una meraviglia, mi abbaglia di bianco, come tutto qui in Grecia. Solo le porte sono di un azzurro brillante.

C’è la piscina, ed è enorme. Con oasi e solarium.

Un facchino prende la mia valigia, quella che ho portato con me, e ci avviamo. La hall è piena di persone, così metto gli occhiali da sole Ray Ban e un cappellino da baseball, per non farmi riconoscere.

L’albergo è molto esclusivo, districato in più edifici. È per gente ricca e famosa. Come me.

La mia suite è quella più grande e isolata. Il facchino apre la porta e mi consegna la chiave. Posa il mio bagaglio a mano e mi sorride:

«Buona permanenza, signore.»

Dal portafogli, prendo una banconota da cinquanta euro e gliela sbatto in mano.

Finalmente, rimango solo.

La suite è enorme e con vista sul Mar Egeo. C’è anche un balcone abbastanza grande per fare lunghe passeggiate, con un tavolo e quattro sedie di canapa.

Ovunque, vasi di terracotta con fiori colorati.

È davvero un Paradiso.

Il pavimento è un mosaico di mattonelle con decorazioni antiche e classiche, azzurro come le porte. I muri sono bianchi anche all’interno, ma con tende color crema.

Ai piedi del letto matrimoniale, ci sono i miei bagagli, arrivati il giorno prima. Quattro trolley da viaggio.

Non ho voglia di sistemare la mia roba, adesso ho bisogno di rilassarmi.

Mi siedo sul letto e tiro fuori il pacchetto di Marlboro. Accendo una sigaretta e rigetto fuori il fumo, cominciando a sentirmi meglio.

Il sole comincia a calare.

È il tramonto.

Da dove mi trovo, posso godere di un tramonto sul mare spettacolare, tutto è dorato, le case che circondano l’albergo sembrano piccole scatole luminose. Le persone per strada camminano, in salita e in discesa, e non si accorgono nemmeno di quel meraviglioso tramonto.

Io posso goderne appieno, dall’altezza in cui mi trovo.

Il sole sembra fondersi con il mare.

Quando vivevo a Phoenix non facevo caso a queste cose: ero troppo occupato a pensare ai miei genitori, alla loro vita monotona, alla mia disperazione.

Così al liceo facevo a pugni con tutti e venivo regolarmente sospeso.

Non era nel mio destino che facessi il college. Ho sempre voluto cantare. Solo cantando libero fuori tutto: la mia rabbia, il mio dolore, i miei ricordi.

Solo cantando sono me stesso.

Sono le otto del mattino. Ho dormito come un bambino, su questo letto da nababbo. Ovviamente mi sono fatto uno spinello, per rilassarmi del tutto: la roba la porto sempre con me, nel mio bagaglio personale.

Se lo sapesse Kramer, mi ammazzerebbe.

L’aria è fresca, il sole splende e io voglio scendere in spiaggia.

Indosso uno dei miei costumi boxer di Calvin Klein e getto un telo da mare su una spalla. Con gli occhiali da sole e un cappellino da baseball mi avvio verso la hall.

Non perdo tempo e l’attraverso a passo svelto, per evitare che qualcuno riconosca i miei tatuaggi.

Ho le braccia e il collo pieni di disegni tribali, ma uno in particolare mi farebbe riconoscere: la scritta Phoenix, sul mio avambraccio sinistro.

L’oasi con la piscina è piena di bagnanti, ma io non voglio rimanere qui: il mare, è quello il mio posto. Un luogo senza confini, dove posso nuotare libero.

Cammino per le vie e nessuna delle persone che incrocio sembra riconoscermi.

Ci sono molti negozi e molte bancarelle. Vendono di tutto: souvenir, pesce, vestiti.

Roba da turisti.

Non mi interessa.

La spiaggia è affollata come mi aspettavo. Stendo il telo, tolgo il cappellino da baseball e i miei Ray Ban e controllo in giro.

Pare che nessuno mi abbia ancora riconosciuto.

All’istante, il mio orgoglio ha la meglio.

Alla mia destra, noto un gruppo di ragazze, tutte in topless, e con solo dei perizomi striminziti. La mia parte esibizionista freme per venire a galla.

Abbasso il costume e il mio uccello eretto si mostra, nella sua maestosità.

Le ragazze restano scioccate e ridacchiano, gli altri sulla spiaggia, soprattutto le persone anziane, mi maledicono.

I bambini si mettono a ridere e alcuni neppure ci fanno caso.

Con le natiche al vento, cammino sul bagnasciuga e mi immergo con lentezza in mare.

È a quel punto che sento urlare da una ragazza:

«Oh, mio Dio! Quello è Phoenix! Il rapper americano!»

In un attimo, come tante oche starnazzanti, quelle pupattole mi raggiungono in acqua, con mille spruzzi. Era quello che volevo.

Non sono affatto scandalizzate dal mio uccello in libertà, anzi mi si sfregano addosso. Alcune parlano in greco e non le capisco, un paio sono inglesi.

Una è francese e parla a malapena la mia lingua.

«Phoenix, non vedo l’ora che arrivi il tuo concerto!»

«Potresti farmi un autografo sullo stomaco, per favore?»

«Dove alloggi? Posso venire da te?»

E come mi aspettavo, i flash delle macchine fotografiche non si fanno attendere. Dieci minuti dopo, i paparazzi onnipresenti sono sulla spiaggia, a fotografarmi completamente nudo e circondato da donne.

Io mostro il dito medio.

Loro continuano a scattare.

La mia immagine è trasgressiva, a tutti piace così. Sono un maiale con le donne, non ho alcuna vergogna a parlare volgare anche in pubblico.

Santorini è la meta di molte celebrità, immaginavo che ci fosse qualche paparazzo appostato nell’ombra, e così è stato.

Continuo a mostrare il dito medio, mentre quegli avvoltoi scattano foto a raffica: già stasera sarò su tutti i giornali scandalistici e chiunque saprà che sono arrivato in Grecia.

Vaffanculo, non me ne frega niente.

 

 

NOTE: 

I need to go to B&B Petrakis: devo recarmi al B&B Petrakis.

Hello, I am Giulia Rinaldi…: Salve, sono Giulia Rinaldi…

I know: Lo so.

You, trouble!: Tu sei un problema.

Tachys: veloce!

Your room, here: La tua stanza, qui!

Metafrázo: Traduci!

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